INDAGINE DEMO | La fiducia è una cosa seria

LA SCUOLA AL QUARTO POSTO NELLA FIDUCIA DEGLI ITALIANI, DOPO FORZE DELL’ORDINE, PAPA E PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA. INTANTO IN FINANZIARIA POCO CAMBIA E LE RELAZIONI SINDACALI SONO ANCORA AL PALO.

Turi: «La scuola non può trovarsi ai primi posti nella fiducia dei cittadini italiani, sentirsi dire che è il centro di ogni possibile sviluppo anche in termini di transizione da quella ecologica a quella digitale, e poi trovarsi nelle misure di politica economica all’ultimo posto nella graduatoria delle priorità di investimento».

La fiducia dei cittadini nelle istituzioni vede, nuovamente, crescere la scuola.
Una tendenza confermata anche dopo le varie campagne di delegittimazione indirizzate verso il suo personale. Campagne provenienti, peraltro, da istituzioni che in questa graduatoria sono agli ultimi posti: come è per i Partiti che sono il fanalino di coda.

L’indagine Demo, pubblicata ieri sull’Espresso, pone la scuola al quarto posto dopo le forze dell’ordine, il Papa e il Presidente della Repubblica.

Una posizione che la scuola – sostanzialmente quella pubblica che annovera il 94% degli studenti – vince collocandosi saldamente al quarto posto come nel 2021, anno orribile per effetto di una pandemia ancora senza soluzioni definitive che sta colpendo i nuclei fondamentali del vivere civile che passano da sanità ed istruzione.

Quello che pensano i cittadini però, stride e di molto, con quanto sta avvenendo sul piano delle decisioni politiche che in questi giorni si stanno confrontando con una Legge di Bilancio che stenta a vedere la luce e che – a fronte di  una montagna di soldi pubblici peraltro a debito – destina alla scuola un misero 0,62% per la valorizzazione dei docenti, incrementato nel maxiemendamento, dello  0,28% su una spesa complessiva di 33,4 miliardi, senza considerare che per la proroga del cosiddetto organico covid per gli ATA,  le risorse risultano insufficienti per raggiungere l’obiettivo di mantenere  in servizio tutto il personale,  sino alla fine dell’anno scolastico.

Nel contempo, si destinano 20 milioni di euro alle scuole paritarie che riguardano in tutto il 6% degli studenti italiani. Una vera e propria iniquità che segna la volontà di una politica di marginalizzazione della scuola pubblica per corrispondere a spinte, peraltro anticostituzionali, le cui lobby affascinano i nostri politici.

La priorità che dovrebbe riguardare la scuola pubblica statale, che ha visto scendere in sciopero il personale il giorno 10 dicembre, è quella di investimenti per il rilancio del modello di scuola costituzionale.

La scuola non può trovarsi ai primi posti nella fiducia dei cittadini italiani, sentirsi dire che è il centro di ogni possibile sviluppo anche in termini di transizione da quella ecologica a quella digitale, e poi trovarsi nelle misure di politica economica all’ultimo posto nella graduatoria delle priorità di investimento.

A questo punto,  ognuno può valutare le motivazioni che ci hanno indotto a protestare.
Uno sciopero che deve segnare lo spartiacque di una politica inconcludente e fatta di silenzi: le domande che abbiamo posto con lo sciopero sono tutte senza risposte, dal precariato che non è risolto, al rinnovo del contratto che appare ancora di difficile soluzione non essendo stato sufficiente lo sciopero e la consequenziale risposta molto blanda nella legge finanziaria di cui abbiamo notizie ancora frammentarie.

Una cosa è però certa: se le domande restano senza risposta, non c’è dialogo e confronto, c’è solo un muro. I muri si possono abbattere o aggirare, ma serve anche in questo caso la volontà comune di farlo.

Alla nostra richiesta di riaprire alle relazioni sindacali non c’è ancora alcuna risposta, per cui non ci sono tavoli aperti ma solo incontri da fare per testimoniare relazioni e dialoghi che non ci sono.

Noi perseguiremo la nostra strada senza tentennamenti di sorta. La fiducia è una cosa seria.