Si sono fermati i campionati di calcio, differiti gli europei e forse le Olimpiadi, si è addirittura superato il tabù del 3% di deficit in Europa, tutti moloch economici e sociali, è ragionevole pensare che la scuola possa uscirne fuori solo con la digitalizzazione?
CRONACHE DAI GIORNI DEL CORONAVIRUS
E’ emozionate vedere, come accade da diversi giorni alle 18.00, che dai balconi di casa le persone si cercano. Si avverte un bisogno di comunità. E’ un modo per esorcizzare la paura che sta scandendo la nostra vita. E’ una paura diversa da quella che era stata instillata, in un recente passato, verso il diverso, il nemico da isolare. Oggi che quel nemico è diventato invisibile e coinvolge la vita (di tutti) ritorna il bisogno di unità, di solidarietà, di riconoscenza verso strutture pubbliche che garantiscono alcuni bisogni collettivi. C’è voglia di stato, di protezione.
Dai balconi sale l’inno nazionale e un grande applauso agli infermieri, ai medici, ai sanitari. Quelle stesse persone, che sull’onda della strumentale propaganda supportata diffusa dai soliti opinionisti, avevano dato consenso per la loro emarginazione sociale sulla spinta di campagne denigratorie, quella dei “furbetti del cartellino”, facendo di ogni erba un fascio.
Ancora è la paura che governa i cambiamenti, prima artatamente utilizzata, ora naturale reazione collettiva, di fronte ad un pericolo mai visto prima.
Una costante permane: l’interesse delle élite economiche che, con la politica e gli opinionisti, si ritrova facilmente e trova il modo per affermare le proprie (sempre le stesse) ragioni, quelle del mercato e del profitto, anche utilizzando l’emergenza che spinge la gente, distratta ed impaurita, ad abbracciare la solidarietà nazionale, il senso di patriottismo che alberga nei cuori dei lavoratori.
Sono gli stessi lavoratori che hanno fatto uscire il Paese dalle diverse crisi finanziarie (ciclicamente presenti), politiche del terrorismo, sociali. Pagandone sempre il prezzo.
C’è chi pensa di presentare il conto e tentare operazioni di mercato per progetti sempre utili ai soliti network: ci riferiamo alla spregiudicata rincorsa alla tecnologia delle comunicazioni che rappresenta la nuova frontiera da affrontare, mai con serietà, solo con strappi e confusione.
Se nei primi del Novecento chi deteneva i mezzi di produzione, era detentore anche del potere in senso lato, era il dominus, negli anni che viviamo, il potere è condizionato dai detentori dei mezzi di informazione. Tra non molto lo troveremo allocato in chi deterrà i mezzi di formazione, i proprietari degli stessi network.
Questo è un problema che merita l’apertura di un dibattito che accompagni il Paese con l’auspicata digitalizzazione, che oggi non c’è.
In questo contesto si innesta la campagna sulla Didattica a Distanza e la pretesa, veramente assurda, di voler archiviare l’anno scolastico, facendoci credere che la DAD sia succedanea alla lezione effettivamente effettuata, e non complementare ad essa.
Volendo per un attimo tralasciare la nostra ferma convinzione che le due procedure non siano sovrapponibili e tutte le obiezioni di carattere giuridico e di privacy- per il semplice motivo che circa 11 milioni di cittadini sono esclusi dalla banda larga e hanno scarse possibilità di utilizzo della rete – vorremmo ricordare che la scuola è per gli alunni e non per altro.
C’è oltre un milione (aspettiamo l’esito del monitoraggio) di studenti che non sono raggiunti dalla didattica a distanza, non si può pensare di avere garantito il diritto allo studio, a meno di non trasformare questo diritto in privilegio di chi può accedere alla tecnologia. A questo punto nessuno venga a parlarci di povertà educativa. Se avessimo seguito questa ottica, saremmo tornati alla scuola di classe degli inizi del secolo scorso, una discriminante in base al censo.
L’invito che facciamo alla Ministra è di non seguire chimere e di confrontarsi con la realtà. Eviti di citare le norme solo per la parte che le conviene.
Norme e Costituzione devono essere trattate come unicum, nella loro integralità, e debbono valere nel loro insieme, non solo per ciò che fa comodo.
Un modo di procedere che si può comprendere solo se è un modo per esorcizzare la paura dell’epidemia e sperare che il 3 aprile si torni a scuola. Ma se ciò non fosse si deve pensare a come dare risposte sette milioni di studenti.
E’ il momento di guardare la realtà in faccia. Si sono fermati i campionati di calcio, differiti gli europei e forse le Olimpiadi, si è addirittura superato il tabù del 3% di deficit in Europa, tutti moloch economici e sociali, è ragionevole pensare che la scuola possa uscirne fuori solo con l’ausilio della digitalizzazione?
Sarebbe meglio avere un approccio più umile e collaborativo e dotarsi di un piano B che possa raccogliere un vasto consenso democratico.
Questo compito spetta alla politica che, attraverso il confronto con le organizzazioni sindacali, che rappresentano quei lavoratori a cui il ministro spesso e volentieri si appella, deve realizzare la mission propria della scuola della Costituzione.
Per trovarlo, la Ministra non si limiti ad invocare l’ausilio della tecnologia, cerchi il confronto ed esca dal bunker in cui è rinchiusa, 24 ore su 24, 7 giorni su7, circondata solo dai suoi fidi consiglieri.
Non è più sufficiente un appello al senso di responsabilità collettivo dei lavoratori, dimenticando la reciprocità che, in un momento di grande difficoltà, diventa un obbligo politico, prima ancora che morale.
In questi giorni lunghi e tristi, in tanti si stanno affannando a dire che il mondo nuovo, quello che seguirà al superamento della pandemia, sarà un mondo diverso, più moderno e più sobrio. In questa nuova dimensione, noi vorremmo che il diritto all’istruzione continuasse ad essere un diritto universale, per tutti e non per pochi.
I nuovi equilibri politici passano dal possesso della conoscenza, come è sempre stato.