Di Pino Turi *
L’emergenza virale in atto, al netto delle gravi complicazioni sanitarie, sta determinando scenari inediti.
Autonomia differenziata: il racconto di un fallimento
Questa situazione contingente sta dando la rappresentazione plastica che ogni ulteriore richiesta di autonomia differenziata è non solo immotivata, ma fonte di grave pregiudizio per l’intero Paese.
Quando si parla di diritti universali, in questo caso della salute dei cittadini, ogni recinto sia esso fisico o giuridico, ha riflessi negativi.
L’economia globalizzata abbatte gli steccati. Gli aggregati devono avere dimensioni generali, l’idea di stato federale è fuori contesto, anacronistica, egoistica, divisiva. L’Italia unita è una regione dell’Europa. L’istruzione è una funzione essenziale dello Stato e come tale non può essere parcellizzata in venti microcosmi regionali. Un assunto che trova fondamento anche sull’esperienza di questi giorni.
L’elogio del mercato messo in crisi da un virus globale
La flebile politica di questa contingenza storica è incapace di fronteggiare situazioni imprevedibili. Deve cambiare il paradigma di riferimento. Il dogma del mercato, professato dai neoliberisti, si presenta in tutta la sua fragilità se un virus è in grado di sconvolgere anche il sistema sociale. In questa situazione in cui si sono messi in gioco i diritti universali, la salute in primis, la politica mostra di abdicare, facendo prevalere l’economia su tutto.
Il conflitto andava evitato attraverso una sintesi dei diritti incomprimibili dei cittadini ben descritti nella Carta Costituzionale.
Ma la coesistenza implica un diverso approccio culturale.
I risparmi si fanno laddove sono possibili, ma lucrare sulla sanità alla stregua di un qualunque servizio significa non averne compreso il significato.
Cavalcare l’emergenza per portare un’innovazione imposta
Le emergenze non sono mai neutre, se la politica non è autorevole prevalgono gli interessi, che sono quasi sempre di natura economica. Surrogare le lezioni frontali con quelle a distanza (via skype e similari) può essere un rimedio utile, da azionare in casi di emergenza e sempre a condizione di introdurre i necessari atti regolativi.
Il fai-da-te è elemento pericolosamente regressivo che si presta ad usi ed abusi che è necessario evitare.
La tecnologia è un bene prezioso, non un corpo contundente da usare a sproposito. Forzarne l’uso al di fuori di un progetto politico condiviso, può incidere negativamente anche sui rapporti sociali tradizionalmente intrattenuti all’interno della comunità educante.
Questi tre elementi, valutati dal punto di vista della scuola, inducono a qualche riflessione e trasmettono forti preoccupazioni. Su questo va aperto un confronto che deve orientare le nostre scelte politico- sindacali. In verità sono le riflessioni che abbiamo effettuato a Fiuggi, nel dicembre 2019, e a cui dobbiamo rifarci. Lì abbiamo riordinato le idee, i valori, i principi che con coraggio dobbiamo portare avanti anche fuori dal coro per riaffermarli e porli alla base di un nuovo umanesimo.
Il modello di scuola che vogliamo per il Paese
E’ questo il punto di partenza per difendere la scuola pubblica, unica e unitaria, dall’ingerenza della politica e per evitare che segua lo stesso declinante destino della sanità pubblica. La scuola deve essere nazionale, ma anche statale, laica, libera ed indipendente, costituzionale insomma.
Sulla base di questi principi dobbiamo misurare ogni proposta di modifica, ogni riforma per evitare che la politica informe e incolore di questi anni produca danni irreparabili.
L’eco di ritorno della legge 107 ammalia trasversalmente la politica
Forze politicamente contrapposte si inseguono e rilanciano riproponendo progetti sonoramente bocciati dai lavoratori. E’ il caso della deputata Forzista Aprea che spinge per realizzare una didattica alternativa, che sarebbe, a suo modo di vedere, l’antidoto al coronavirus.
Come se ciò non bastasse, la Ministra sottoscrive un atto di indirizzo politico nel quale si invoca la «formazione obbligatoria strutturale e continua»: le stesse parole usate dalla legge 107. Le ambiguità non finiscono qui.
Chiamata diretta: bocciata per contratto, rischia di tornare per via legislativa
Accade, infatti, che il percorso parlamentare di stop alla chiamata diretta, già realizzato per via contrattuale, si inceppi per qualche strana amnesia di alcune forze politiche, le stesse che qualche mese prima si erano battute per la sua eliminazione.
E’ la prova che quello che la gente ha chiesto con forza negli anni scorsi, oggi sembra un ricordo che interessa poco alle forze politiche che preferiscono sostenere le tesi delle lobby economiche, le offerte del mercato, che ormai non sono più in grado di arginare. Al momento solo il sindacato appare seriamente impegnato nel tenere la barra diritta nella difesa dei diritti dei cittadini e dei lavoratori.
La tecnologia strumento al servizio di un nuovo umanesimo
La tecnologia e la digitalizzazione sono le moderne vestali della religione del mercato e compiono il miracolo di mettere insieme destra e sinistra, schieramenti sempre più indistinti. Non siamo conservatori né reduci nostalgici del passato. L’innovazione non è un male oscuro. Vogliamo affermare che la modernità deve essere funzionale ad un nuovo umanesimo che considera la tecnologia e la digitalizzazione quali strumenti e non fini di un’azione politica.
La tecnologia non deve e non può sostituire il pensiero
La formazione obbligatoria continua e permanente deve – si legge nell’ atto di indirizzo emanato dalla Ministra Azzolina – «entrare in un sistema che deve implementare a livello tecnologico un sistema informatico in grado di contenere la storia formativa di ciascun docente al quale imporre la formazione obbligatoria permanente e strutturale come garanzia di un volano strategico innovativo e concreto a garanzia che la scuola in tutte le sue componenti sia in grado di affrontare il cambiamento sociale culturale ed economico». Questo significa di fatto annientare ogni libera scelta personale.
L’abdicazione dell’umanesimo in favore della tecnologia
Così potremmo definire l’attitudine di coloro che posseggono le competenze che contano rispetto agli altri a cui somministrare competenze che non contano. Nel perseguire questo obiettivo si potrebbero utilizzare non più i social, i canali della propaganda, ma direttamente la scuola e l’istruzione in una sorta di indottrinamento indotto da obblighi e condizionamenti del personale docente che perderebbe ogni libertà di scelta professionale.
Qualcuno potrebbe pensare ad una esagerazione, ma se si afferma come fa la Ministra, che le attività di formazione del docente devono essere «profilate» ed orientate esclusivamente allo sviluppo economico, si afferma la fine della libertà di insegnamento. Roba vecchia dicevano i fautori della buona scuola da sacrificare sull’altare del modernismo, dell’omologazione della tecnologia, dell’utilitarismo, dell’accontentare ogni tipo di cliente. Peccato per loro, ma la Costituzione esiste ancora e vale per tutti.
La professione docente e l’impossibile omologazione con il lavoro d’ufficio
Pensare di trasformare i docenti in impiegati a cui spiegare il ciclo produttivo è non solo offensivo, ma un danno per la democrazia di questo Paese. Pensare che un algoritmo elimini ogni possibilità di libero arbitrio, di scelta libera in una funzione nobile ed insostituibile come quella dell’insegnamento, equivale a rendere l’uomo in forma individuale e collettiva gerarchicamente inserito in un sistema autoritario. Mutuare la filosofia politica e le tecnicalità della piattaforma Rousseau per un controllo eterodiretto della scuola, travolgendo autonomia scolastica e libertà di insegnamento, è un rischio da scongiurare.
Le scelte del sindacato, l’impegno per essere vicino alle persone.
Sarà bene che su questi temi si apra una riflessione collettiva, a partire dai lavoratori della scuola a cui chiediamo di uscire dall’isolamento individuale. Siamo pronti ad impegnarci in un percorso che non è solo sindacale, ma culturale e di riformismo vero, che guarda alle persone non come strumenti, ma soggetti attivi di quella comunità che ama la libertà e non si vuole rassegnare.
Dopo le emergenze esistono le criticità che sono tante e che vanno governate attraverso decisioni condivise. In questo ci attendiamo un alto senso di responsabilità da parte della Ministra e del Governo tutto. Sistema di reclutamento, precariato e rinnovo del contratto di lavoro sono i temi sospesi.
Avere revocato uno sciopero già proclamato in una contingenza delicata della vita del Paese, significa aver compiuto un atto di grande responsabilità, ma nessuno pensi di approfittarne. Cambiare le regole del gioco approfittando delle emergenze è un’operazione di basso profilo politico e di inqualificabile comportamento civile e morale. Lavoriamo tutti perché non accada.
*Segretario generale Uil Scuola