Analisi e considerazioni sulle nuove Indicazioni nazionali 2025 per la scuola dell’infanzia e il primo ciclo di istruzione.
In premessa riteniamo non eludibile la necessità di maggiore tempo per meglio capire, riflettere ed analizzare la portata delle Indicazioni nazionali 2025. Un’esigenza che, a nostro avviso, riguarda anche le scuole chiamate ad esprimere un questionario di gradimento in un lasso di tempo troppo breve (la ridotta proroga non rappresenta una soluzione). Siamo in presenza di un testo che richiede una necessaria approfondita analisi sulle ripercussioni nei processi educativi, nella didattica e anche sugli aspetti di cultura generale che rappresentano il presupposto a tutto il documento.
Riteniamo, inoltre, che sarebbe stato necessario un coinvolgimento capillare degli attori della scuola da cui ricavare suggerimenti e pratiche che hanno rappresentato successi formativi da cui trarre indicazioni.
Negli anni si sono evidenziate molteplici interventi nel mondo della scuola che hanno spinto ogni governo e relativo Ministro dell’Istruzione a caratterizzare la loro azione introducendo, ognuno, pezzi di riforma scolastica a volte in contraddizione con quelle precedenti o, addirittura, stravolgendo quanto fatto dai precedenti governi e ministri competenti.
Attualmente non abbiamo assistito ad un “patto”, come avvenuto nel 2012, sul quale far convergere maggioranza e opposizione che insieme agli studiosi e specialisti della pedagogia e dei sistemi scolastici, agli insegnati e ai Dirigenti scolastici fossero in grado di costruire quanto necessario per elaborare le indicazioni nazionali.
Riteniamo, infatti, che le indicazioni nazionali del 2012 rappresentano un lavoro serio che, come è ragionevole, necessita di aggiornamenti e integrazioni che avrebbero dovuto concentrarsi in particolare sulle nuove sfide determinate dal digitale, dall’intelligenza artificiale, dai nuovi modi di comunicare e interagire. Alcuni di questi temi li troviamo nelle linee guida in applicazione della legge sull’educazione civica del 20 agosto 2019, n. 92 che, a nostro avviso, avrebbero potuto raffigurare una buona base di partenza. Una particolare attenzione avrebbe dovuto essere posta all’educazione finanziaria che riteniamo essere un terreno su cui scontiamo un importante ritardo nel contesto dei processi educativi europei.
Quelli su esposti avrebbero dovuto rappresentare le questioni su cui procedere verso un costruttivo aggiornamento delle indicazioni nazionali e soprattutto sarebbe stato necessario che tutti gli attori in campo, a cominciare dal Governo, dal Ministro e dal Parlamento, si apprestassero in modo serio e risolutivo ad affrontare il gravissimo problema strutturale della scuola italiana: il numero inaccettabile di docenti precari (oltre 230.000) che incidono negativamente su uno degli aspetti fondamentali di qualsiasi azione educativa (financo per l’applicazione delle indicazioni nazionali) ovvero la continuità didattica.
Nelle Indicazioni ci si concentra molto sugli ambienti di apprendimento fisici sebbene, a causa dei forti tagli delle risorse finanziarie destinate agli enti locali, non si riesce troppe volte a garantire una manutenzione ordinaria degli edifici e molti di essi sono sprovvisti di palestre; inoltre, con la diminuzione dei posti in organico si procederà inevitabilmente verso la progressiva diminuzione del numero delle classi autorizzate con conseguente innalzamento in esse del numero degli alunni che non troveranno risposte adeguate ai loro bisogni formativi.
Di fronte al tema della denatalità, che rappresenta per la nostra società un dramma in sé, abbiamo l’occasione di trasformarla in un’opportunità: fare una scelta “rivoluzionaria” ovvero la riduzione del numero di alunni per classe, tema non eludibile che si intreccia con la reale efficacia dei processi educativi che le stesse indicazioni nazionali si propongono. Muoversi verso l’obiettivo di 18 alunni per classe dovrebbe essere la meta a cui tutti puntare. Dovremmo tutti impegnarci per far nascere e rendere effettiva una forte volontà politica in tal senso.
A fronte di queste preoccupanti condizioni della scuola questa fretta a definire ex novo le indicazioni nazionali ci appare un tentativo di partire dalla coda invece che dalla testa quest’ultima rappresentata da una condizione oggettiva per cui un docente su 4 è precario, limitazione concreta che rischia di vanificare ogni buon proposito.
È innegabile che dalla lettura complessiva delle premesse culturali si avverte un’impostazione di tipo paternalistico. Il richiamo alla coercizione verso gli alunni sottende ad un’idea che ci sono forze nemiche per cui bisogna difendersi. Dalla lettura delle premesse culturali si avverte un senso di paura per cui occorrono contromisure. Tutto sembra essere un rischio: il digitale, le famiglie che non danno un aiuto alla scuola in termini educativi. Un’impostazione di tal genere, inoltre, non consente un approccio serio, analitico e meditato alla nuova sfida che pone l’intelligenza artificiale.
Nella “Premessa culturale generale delle Nuove Indicazioni” emerge subito la nozione di “persona” ancorata alla cultura occidentale. La “persona”, di cui si richiama la radice greca e latina di volto, “è una realtà che si costituisce attraverso la possibilità di dire io” (pag. 8). Pur essendo relazione, l’individuo deve essere sempre preminente rispetto al suo essere parte di una comunità. Il “volto” vuole forse richiamare l’appartenenza ad una razza, che nella sua storia ha saputo affermare il principio della libertà, e dunque il riferimento alla cultura occidentale nata “fra Atene, Roma e Gerusalemme”? Sono dunque queste le basi antropologiche per lo sviluppo del senso morale e della comprensione del principio di autorità? Su questo è forse necessario un maggiore approfondimento, per salvaguardare le conquiste in chiave “interculturale” fatte dalla scuola italiano in questi decenni.
Fatte tali premesse non ci esimiamo dall’entrare nel merito di alcuni temi contenuti nelle indicazioni nazionali proposteci:
Persona, scuola e famiglia sono punti di riferimento importanti anche se, come detto, rileviamo una retorica paternalistica, ad esempio, nei confronti delle stesse famiglie: “Va spiegato a bambini e preadolescenti, anzitutto da parte dei genitori, che la nostra Repubblica ha posto la scuola al centro del suo progetto di Paese e che la scuola è un bene sociale comune di inestimabile rilevanza, da tutelare e valorizzare, a cominciare dalle parole usate per parlarne”. A ciò si aggiunge una enfatizzazione relativa agli atti di vandalismo e sulle offese agli insegnanti che implicherebbero riflessioni molto più approfondite e non un’impostazione rivolta prevalentemente ad un’idea generica di rispetto “maxima debetur magistro reverentia”. L’attenzione andrebbe rivolta prevalentemente alla mancanza di ambienti adeguati, mancanza di palestre di aule con strumenti musicali. Ci troviamo di fronte in molti casi in strutture scolastiche dove manca l’agibilità e dove il rispetto per le persone e le cose dovrebbe avere come presupposto “la bellezza” dell’istituzione scolastica.
Si avverte anche la sensazione di volgere verso un ruolo marginale del docente rispetto al processo di apprendimento in sé, quasi che il suo ruolo fosse decisivo solo in relazione al comportamento dell’alunno; viene compresso il diritto alla libertà di insegnamento (art. 33 Costituzione) nel momento in cui si leggono i suggerimenti rispetto ai testi da utilizzare nelle discipline letterarie o i suggerimenti sullo stile di insegnamento da adottare. Un investimento nell’ambiente fisico di apprendimento, senza un investimento prevalente sul capitale umano e professionale, crea una frattura con i contenuti e le competenze da acquisire. Tale accento sugli ambienti di apprendimento sembra finalizzato al tentativo di coniugare strumenti e pratiche didattiche del passato con le nuove tecnologie, ossia “la carta e la penna e la lettura ad alta voce e la convivenza armoniosa di assistenti virtuali”.
Il ruolo di insegnante quale “maestro” è condivisibile, ma riteniamo che nella scuola primaria sarebbe necessario il ripristino di una pluralità di “maestri” attraverso una rinnovata applicazione di un insegnamento modulare e il superamento dell’anacronistico concetto di maestro unico.
Il riferimento al valore della persona che è il soggetto assoluto in una comunità, oltre a richiamare “l’azione della scuola nel promuovere l’identità personale, culturale, relazionale e partecipativa della persona umana” avrebbe dovuto, a nostro avviso, essere completata con la sottolineatura “nel rispetto della diversità di genere, di sesso e di religione”.
Anche sul tema dell’inclusione, prevale la scelta di privilegiare gli ambienti fisici, mettendo in secondo piano i processi culturali come cambiamento. Il riferimento a Comenius, secondo il quale, tutto può essere insegnato a tutti, implicitamente non rispetta le difficoltà e i bisogni educativi di ognuno o di qualcuno. Non compare la figura del docente specializzato, il che porta a pensare che si voglia raggiungere l’obiettivo di un docente unico, che sia curriculare- specializzato allo stesso tempo, a discapito del rapporto 1/1 o 1/2, per favorire gli ausili virtuali in grado di semplificare la personalizzazione degli apprendimenti. Si demolisce, di fatto, la figura del docente specializzato (attualmente docente della classe è bene sottolinearlo) come intermediario dell’inclusione, facilitatore degli apprendimenti e co- protagonista di una relazione affettiva e di fiducia con gli alunni più deboli e le loro famiglie. Sembra quasi che l’inclusione diventi un processo naturale di buone prassi.
Riguardo a scuola e nuovo umanesimo condividiamo, oltre il richiamo importante all’art.3 della nostra Costituzione, l’impostazione, in controtendenza rispetto ad una retorica eccessiva sulle competenze, per cui le competenze assumono un rilievo subordinato laddove si precisa “l’acquisizione delle conoscenze e delle abilità fondamentali per sviluppare le competenze culturali di base nella prospettiva dello sviluppo integrale della persona e dei suoi talenti”. Al contempo rileviamo alcune impostazioni contraddittorie che lasciano spazio a confusione tra i termini “competenze” e “abilità”.
In riferimento alle “guerre terribili” della prima metà del ‘900, proprio perché in premessa al paragrafo Libertà, cura di sé ed etica del rispetto in cui si vuole evidenziare la cultura della libertà che è il valore più caratteristico dell’Occidente, sarebbe stato necessario fare riferimento a chi ha garantito quelle libertà attraverso un sacrificio di milioni di donne e uomini che si sono opposti ai fascismi e in seguito ad ogni forma di totalitarismo come quello sovietico. Altrimenti quelle guerre totali assumono un carattere neutro (altro tema che affronteremo) in cui tutti sono responsabili e nessuno lo è.
Condivisibile in pieno, lapalissiano diremmo, il richiamo a “sviluppare la capacità di pensare in modo critico e autonomo, di riconoscere i diritti e i doveri propri e altrui e di comprendere l’importanza della giustizia e dell’equità nella società”.
Ci appare oscuro la ratio del riferimento alla “comprensione del principio di autorità” in quanto rappresenti una conquista dell’uomo libero. A nostro avviso l’uomo libero è colui che sa mettere in discussione con le proprie capacità critiche anche quel principio che è poi l’ossatura su cui si è costruita la “libertà” dell’Occidente.
Lo studio della Bibbia può essere considerato pertinente nel momento in cui è teso alla delineazione del rapporto tra la scuola di oggi e il nuovo umanesimo:
“La libertà è il valore caratteristico più importante dell’Occidente e della sua civiltà sin dalla sua nascita, avvenuta fra Atene, Roma e Gerusalemme. Ed è il cuore pulsante della nostra democrazia” (Libertà, cura di sé ed etica del rispetto, p. 10 II cpv);
Rileviamo però che per la prima e la seconda classe della scuola primaria lo studio delle radici della cultura occidentale attraverso alcune letture/narrazioni come la Bibbia o l’Odissea, mediante lo studio della differenza tra monarchia e repubblica, i concetti del Risorgimento e lo studio dell’inno di Mameli, rappresentano contenuti culturali, che seppur semplificati, risultano essere complessi per l’età evolutiva del discente, che deve ancora consolidare gli aspetti dell’asse temporale.
Al riguardo, non avendo alcun preconcetto sullo studio della Bibbia, è estremamente necessario che tale studio non risulti:
- Una forzatura culturale in un ambiente scolastico pubblico e pluralista;
- Una sovrapposizione con l’insegnamento della religione cattolica, che già affronta questi temi con strumenti pedagogici e didattici adeguati.
- Una scelta sbilanciata dal punto di vista ideologico, nel quadro di un impianto antropologico dichiaratamente cristiano delle Nuove Indicazioni 2025.
I fondamenti teorici delineati nelle nuove Indicazioni sembrano orientare la concezione dell’educazione verso un impianto antropologico di matrice cristiana, che si distingue per una visione integrale della persona. Tale scelta, pur riconoscibile all’interno della tradizione culturale italiana, potrebbe essere interpretata come un tentativo di riequilibrio rispetto a impostazioni pedagogiche di ispirazione laica e progressista che hanno avuto ampia diffusione nel dibattito educativo degli ultimi decenni e che riteniamo avere prodotto buoni risultati educativi.