Rinnovo contratto: “Gli aumenti stipendiali del 5,78% previsti non bastano e devono essere detassati. I docenti precari sono il 20%, rivedere reclutamento”. INTERVISTA a Giuseppe D’Aprile (Uil Scuola Rua)
Di
“Il rinnovo del contratto deve innanzitutto tradursi nella volontà di mettere a sistema gli investimenti e il primo è quello sul personale”. In vista dell’emanazione delle Linee di indirizzo propedeutiche al Contratto Scuola 2022-24, Giuseppe D’Aprile, segretario generale della Uil Scuola, mette le mani avanti: “La valorizzazione del personale – insiste – passa anche e soprattutto dal riconoscimento economico. Ma non ci sono solo i temi strettamente economici al centro delle preoccupazioni dei sindacati, sebbene l’erosione del potere d’acquisto dei salari causato dall’inflazione abbia reso oltremodo critica la situazione personale e familiare dei lavoratori della scuola, specie i tanti fuorisede, ma non solo loro. Ci sono tanti altri temi sul tappeto, non ultimi il precariato e la formazione dei docenti.
Ma andiamo con ordine. Come abbiamo già riferito, sono state appena presentate ai sindacati le linee programmatiche del Ministero dell’Istruzione e del Merito, in vista dell’emanazione delle Linee di indirizzo propedeutiche al Contratto 2022-24. La riunione, alla presenza del Ministro, si è tenuta a Viale Trastevere alla presenza dei rappresentanti ministeriali e delle forze sindacali.
Secondo quanto raccolto da Orizzonte Scuola, il Ministero, oltre a presentare quanto verrà investito nel settore dell’istruzione tramite gli stanziamenti in Legge di Bilancio, ha parlato anche della figura del docente stabilmente incentivato, così come previsto dalla Legge 36/2022. Si punta ad ampliare la platea. Il Ministero, inoltre, si è impegnato a trovare maggiori risorse per garantire la formazione continua del personale scolastico. Sul tavolo anche le politiche di welfare, con diversi provvedimenti al vaglio, oltre a quelli già previsti.
L’obiettivo è quello di migliorare la qualità della vita dei lavoratori della scuola, offrendo loro servizi e benefici che possano aiutarli a conciliare lavoro e vita personale. Su questo fronte, al centro della proposta del Ministero, in base a quanto ci risulta, c’è un sostanziale aumento delle retribuzioni, con circa 3 miliardi di euro destinati a incrementare gli stipendi base del personale scolastico. Ma il piano del Ministro va ben oltre il mero aspetto economico. Si propone infatti una riforma strutturale del ruolo docente, abbandonando il concetto di “docente stabilmente incentivato” in favore di figure più flessibili e orientate al supporto didattico e all’implementazione dei piani formativi.
Segretario Giuseppe D’Aprile, mettiamo le cose in ordine. Per lei bisogna partire dalla valorizzazione del personale. È così?
“Il rinnovo del contratto deve innanzitutto tradursi nella volontà di mettere a sistema gli investimenti e il primo è quello sul personale”. In vista dell’emanazione delle Linee di indirizzo propedeutiche al Contratto Scuola 2022-24, Giuseppe D’Aprile, segretario generale della Uil Scuola, mette le mani avanti: “La valorizzazione del personale – insiste – passa anche e soprattutto dal riconoscimento economico”.
Certo, non si può prescindere dalla realtà degli stipendi il cui valore reale è stato compromesso negli ultimi anni dall’inflazione. Quali sono le vostre richieste in merito?
“Con la tornata contrattuale 19/21 sono stati dati aumenti medi del 4,5 per cento circa. Questa volta, quelli previsti e annunciati, saranno del 5,78 per cento. L’aumento incontrollato dei prezzi e gli effetti del fiscal drag hanno contribuito ad una perdita complessiva del 18,4 per cento del potere d’acquisto delle retribuzioni per circa 3 milioni e 400mila lavoratori del pubblico impiego che ha modificato profondamente le abitudini di consumo dei pubblici dipendenti che, com’è ovvio, pagano le tasse sino all’ultimo centesimo. Servirebbe un aumento sostanziale per avviare un percorso di riallineamento sia con gli stipendi dei dipendenti pubblici che con quelli dei colleghi europei. Nel primo caso siamo ad un differenziale del 16 per cento, circa 340 euro medie pro capite e del 29 per cento, pari a 600 euro, se paragonato al parametro europeo. Con il CCNL 2022-2024 lavoreremo per fornire risposte organiche e unitarie per tutto il personale, sia in termini economici – abbiamo chiesto al Ministro di reperire risorse aggiuntive e di detassare gli aumenti contrattuali – sia in termini normativi”.
Sul piano degli stipendi bassi esiste un problema Nord e Sud?
“Il Ministro, durante l’incontro, ha annunciato le politiche a favore del welfare relative al caro vita. Necessitano una più puntuale e precisa valutazione per stabilirne la reale attuazione. In molti paesi del Sud, lavorare significa misurarsi con una serie di disagi che al Nord non sono presenti. Si fa lezione in edifici scolastici completamente inadeguati, insicuri, cadenti, in alcuni casi neppure serviti da un trasporto pubblico efficiente oltre alla precarietà dell’assistenza sanitaria. Allora la vita costa anche per chi risiede al Sud. Se gli stipendi sono bassi vanno aumentati su base nazionale, perché l’inflazione erode in egual misura le retribuzioni da Nord a Sud. Perugia, faccio un esempio, risulta negli ultimi anni tra le prime città per crescita dei prezzi per l’inflazione e lo stesso vale per diverse città del Sud come Benevento e Brindisi. Nel 2022 addirittura Catania risultava al primo posto. La questione centrale è che gli stipendi del personale della scuola, da nord a sud, non coprono il costo della vita. In Italia, il problema delle basse retribuzioni è diffuso in tutto il Paese. È necessario migliorare le condizioni retributive per tutto il personale della scuola, promuovendo una crescita economica equa che permetta a tutti di affrontare dignitosamente il costo della vita. Non è un problema tra nord e sud ma un problema da Nord a Sud”.
Si punta anche a scollegare il comparto dell’istruzione dai vincoli di bilancio. Vuole spiegare?
“La specificità del comparto scuola, quella che lo differenzia dagli altri, è la centralità della didattica che non riguarda solo i docenti, ma tutte le figure lavorative del comparto. Intorno a questo principio vanno realizzate le politiche contrattuali del personale tutto. Bisogna istituire un capitolo specifico di spesa per l’adeguamento stipendiale dei lavoratori della scuola in cui fare confluire, annualmente, ulteriori risorse. Ribadiamo che la proposta del Ministro, emersa da un incontro internazionale tra Ministri dell’Istruzione europei a Saragozza, lo scorso anno, che va nella direzione di escludere la scuola dai vincoli di bilancio e investire in essa senza restrizioni, ci trova totalmente d’accordo. Indipendentemente dal governo in carica qualsiasi esecutivo che decide di non investire sul sistema di istruzione, agendo sulla base di logiche da ragioniere, non è un governo lungimirante. La scuola va tenuta fuori dai vincoli di bilancio. È questo il principio per sostenere un sistema di istruzione nazionale, moderno e di qualità”.
Chiedete pure l’uniformità delle retribuzioni nei vari ordini. È così?
“Esatto, non è più sostenibile la differenziazione stipendiale tra docenti appartenenti a ruoli diversi a maggior ragione in presenza dello stesso titolo di studio. La funzione del docente rimane tale anche tra gradi di scuola diversi. Le retribuzioni devono essere le stesse soprattutto tra coloro che hanno percorso la stessa carriera scolastica. È evidente che i ruoli possiedono peculiarità diverse ma medesimi obiettivi: istruire ed educare ragazze e ragazzi che rappresentano il futuro del nostro paese”.
Chiedete pure di incentivare il fondo d’istituto. In che modo?
“È necessario predisporre risorse aggiuntive da destinare a incrementare il Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa. Nel corso degli anni è stato snaturato nella sua concezione originaria, anche a causa dei continui tagli. Adesso ogni tipo di remunerazione è ricavata da questo fondo che si sta rendendo sempre più esiguo”.
Come vede la Uil la questione dell’autonomia differenziata nel settore scolastico?
“Insieme alle Confederazioni UIL e CGIL saremo protagonisti del Comitato Promotore del referendum per abrogare la Legge Calderoli, che rischia di mettere in ginocchio il Paese e non offre prospettive di crescita economica e sociale all’intero territorio nazionale. La scuola resta quella nazionale e ci mobiliteremo ancora contro l’autonomia differenziata, faremo tutto quello che è legittimo a livello costituzionale per non rischiare di dividere il Paese. Non possiamo rischiare di avere una scuola di serie a e una scuola di serie b con stipendi, programmi, offerta formativa e organici diversificati in 20 regioni. Esistono dei diritti, tra cui l’istruzione, che non possono essere regionalizzati. Tanti di questi rappresentano pilastri della dignità umana, dunque non possono finire in mano alle variabili impazzite dei partiti che governano una regione o un’altra. Le nostre istituzioni scolastiche trovano, nella nostra Costituzione, la legittimazione piena della loro funzione, la garanzia della loro autonomia e indipendenza. Così mentre la politica tende a dividere, i sindacati uniscono e fanno integrazione”.
Veniamo al docente stabilmente incentivato. Voi vorreste che la figura fosse rivista. Quali sono le sue criticità?
“Durante la presentazione dell’atto di indirizzo per il CCNL 2022-2024, il Ministro ci ha anticipato che rivisiterà la figura del docente incentivato, previsto dal DL 36/2022, che, come abbiamo ribadito più volte, ha introdotto un sistema di formazione competitivo e divisivo, individuale ed estraneo al vissuto scolastico. Una norma discriminatoria che non tiene conto della ratio del decreto stesso, ovvero l’urgenza, dal momento che manifesterà la sua efficacia nel 2032 a distanza di dieci anni. Si tratta di un meccanismo per diversificare le retribuzioni e per innalzare la qualità dell’insegnamento investendo scarsissime risorse e scegliendo di darne di più a pochi: a beneficiarne nell’intero quadriennio – 2032/2036 – sarebbe circa il 5 per cento dell’intera platea dei docenti. Per questi motivi questa rivisitazione ci trova d’accordo”.
Che cosa pensa in merito al tema della formazione degli insegnanti e dei relativi Fondi per la formazione continua?
“Deve essere innanzitutto confermato che la formazione resta di esclusiva prerogativa degli organi collegiali, che ne decidono tempi e modi, se trattasi di attività riferite ai docenti. Oggi le attività di formazione rientrano nelle ore dedicate alle attività funzionali all’insegnamento e, qualora si superi il monte ore previsto, sono retribuite col fondo di istituto. È, invece, necessario istituire un fondo specifico sulla base delle esigenze delle singole scuole per non gravare sul fondo di istituto ormai eroso. Bisogna ripartire dal contratto sulla formazione firmato nel 2019, all’indomani del rinnovo del CCNL 2016/18, ed evitare però che le risorse si disperdano nelle reti di scuola. Per quanto riguarda il personale ATA, in particolare gli assistenti amministrativi, nel corso delle trattative del precedente rinnovo contrattuale avevamo proposto di effettuare la formazione in servizio senza farla gravare sul singolo lavoratore, facendola rientrare pienamente nell’orario di servizio ordinario. Su 36 ore, ad esempio, 6 ore potevano essere dedicate alla formazione. Questa è stata la nostra proposta. Ripartiremo da qui”.
Infine, il tema più delicato: il reclutamento. Il numero dei contratti a termine aumenta e con esso il precariato. Possibile che non se ne esca?
“Le situazioni politiche da affrontare prima di qualsiasi soluzione tecnica riguardano una presa d’atto che il sistema di reclutamento attuato finora, per i docenti, è stato fallimentare. Lo dicono i numeri: 234.000 contratti a tempo. Nel comparto istruzione ricerca circa il 25 per cento del personale in servizio è precario. Per cui, è chiaro che il sistema del reclutamento ad oggi non ha dato risposte concrete in questo senso. Va quindi modificato. Il personale Ata non fa eccezione: a fronte di una stabilizzazione parziale negli anni, che non ha coperto nemmeno il turnover, la tendenza, anno per anno, mostra un segno di decrescita dei contratti a tempo indeterminato (-1,16 pere cento) e un segno di crescita (+15,22 per cento) dei contratti a tempo determinato. Trasformare l’organico di fatto in organico di diritto permetterebbe non solo di assumere il personale precario – docente e ATA – su tutti i posti vacanti oggi disponibili ma soprattutto eviterebbe un numero esorbitante di supplenti, unico nel pubblico impiego. Il costo della stabilizzazione per ogni precario è di circa 720 euro. Intervenire su questo terreno significherebbe modificare strutturalmente, una volta per tutte, il sistema di reclutamento garantendo stabilità non solo al personale interessato ma anche alla continuità didattica. È evidente che per farlo c’è bisogno di forte volontà politica e di risorse. La scuola deve essere considerata non come fonte di risparmio bensì di investimento senza il quale si pregiudicano inevitabilmente le sorti delle nuove generazioni e, quindi, di questo Paese”.