Questo non è uno sciopero qualunque, uno di quelli che chiede qualche spicciolo in più che pure è il minimo sindacale. È uno sciopero che rivendica la libertà e vuole ridare la dignità a tutto il personale della scuola che è sotto attacco da due decenni.
Un attacco che risponde alle politiche neoliberiste che individuano la scuola e la sanità, diritti universali previsti dalla costituzione, quali spese da tagliare.
Si tratta di fare argine per difendere la scuola costituzionale del paese.
Quella dell’ascensore sociale, delle conoscenze, quella che ha dato un’identità culturale al Paese, che i neo conservatori vorrebbero cancellare e modificare.
L’attacco è sferrato all’insegnamento e agli insegnanti per demolire tutto il sistema che perderebbe le caratteristiche costituzionali per diventare una sorta di centro di formazione professionale al servizio dell’impresa e del profitto.
Adesso basta, è il momento di ribellarsi e chiedere di cambiare le politiche sulla scuola.
Di ragioni per protestare ce ne sono tante, come le misure attese e non realizzate, come i patti non rispettati, gli annunci e le azioni del Ministro.
Dopo la lunga stagione della disintermediazione, strategia praticata in maniera sistematica dai governi precedenti, ci siamo illusi che si fosse tornati a utilizzare il metodo del confronto sociale ed economico, ma solo a parole.
Nei fatti nulla, solo risultati effimeri e di facciata, con la sottoscrizione di diversi accordi rimasti lettera morta. La stagione dei Patti, senza vera interlocuzione, per il lavoro ed anche uno specifico per la scuola sono serviti a nascondere le vere politiche di marginalizzazione e di aziendalizzazione del sistema. Patti importanti anche per gli impegni assunti.
Quello sulla scuola, siglato a maggio, prevede 21 punti: dalle classi sovraffollate, passando per le grandi inadempienze sul reclutamento che hanno affossato ogni soluzione sul precariato e trasformato il ministero in un concorsificio inutile per certa politica e dannoso per il sistema, senza considerare il magro ed insufficiente finanziamento del rinnovo del contratto nazionale.
Questa estate, nel corso della fase per le immissioni in ruolo, i dubbi hanno cominciato a diventare certezze. Tutta la politica sul reclutamento si è rivelata fallimentare tanto che si è riusciti a malapena a coprire appena il 40% dei posti autorizzati.
La piaga del precariato rimane strutturale: anche l’a.s.2021/2022 è partito con il 25% dei posti di organico occupato da personale precario, ma vi è di più si è addirittura peggiorata la condizione di questi colleghi imponendo il vincolo alla mobilità per un triennio, che per i Dsga neo immessi in ruolo si estende addirittura a cinque anni.
Continue invasioni di campo della legge che, invece, di pensare ai progetti strategici, è scesa sul piano della gestione. Si poteva rimediare anche attraverso il contratto sulla mobilità, così come si era fatto in passato, ma non c’è stata volontà.
Tutta la materia del reclutamento è stata marginalizzata, confinata in una narrazione meritocratica senza senso che, colpevolmente ignora i diritti di quanti lavorano da anni nella scuola facendola funzionare, anche nel periodo più tragico che il paese ha attraversato dall’unità ad oggi.
I Dsga facenti funzione sono diventati un esempio di una vicenda dai connotati inverosimili: solo per loro il possesso del titolo di studio diventa un vincolo insuperabile.
Il ministro Brunetta lo risolve per tutti i dipendenti pubblici, ma il ministro Bianchi tace, anzi continua sulla stessa strada pensando ad un concorso pubblico con il solo accesso dall’esterno. Nessun futuro per le migliaia di lavoratori che da decenni svolgono quel lavoro complesso facendo funzionare le scuole. a loro viene negato il diritto a veder riconosciuto il lavoro oscuro di questi anni.
Sempre in tema di organico, addirittura in costanza di emergenza epidemiologica, si è adottato l’organico Covid solo per i primi quattro mesi del nuovo anno scolastico, poi prorogati per l’intero anno al solo personale docente.
Dove sono finiti i protocolli sulla sicurezza?
Dove è finita la tutela della salute dei lavoratori della scuola?
Dove è finita l’azione di tutela nei confronti degli studenti?
Dal mese di settembre si è iniziato a discutere la Legge di Bilancio e si sa, che in quella circostanza bisogna trovare le risorse finanziarie per dare sostanza alle promesse.
I dubbi sono diventati certezze: la scuola è solo a parole al centro delle politiche di sviluppo. Niente soldi, per nessuno.
Non ci sono i soldi per valorizzare le professionalità del personale docente, quelli per rifare l’ordinamento professionale del personale Ata, per incrementare la dotazione del fondo di istituto per finanziare i contratti di scuola.
Non ci sono i soldi per incrementare gli organici di docenti, Ata e dirigenti scolastici.
Non ci sono i soldi per decongestionare il numero delle classi.
Spiccioli che non serviranno nemmeno a contenere le gravi disuguaglianze altro che stipendi europei.
Al personale dalla scuola hanno destinato solo le briciole e l’umiliazione della dedizione.
Si materializza il progetto di investimento dei fondi europei sulla scuola e si danno aspettative immaginifiche che non corrispondono alla realtà: l’attenzione è dedicata solo alle infrastrutture materiali, nessuna concessione a chi quelle infrastrutture deve farle funzionare.
Al personale della scuola resta il regalo di una formazione continua mortificante: si ipotizza addirittura una scuola di alta formazione dove mandarli, a turno, a insegnargli ad insegnare. Una formazione per un milione di lavoratori che vanno ‘formati’.
Da chi poi? La Confindustria per il segmento dell’ITS propone esperti aziendali.
Il caso Catania SI RIPETE voleva mandare suoi esperti per il piano digitale nazionale nulla è stato fatto, e senza i docenti la DaD non ci sarebbe stata neanche. Ci chiediamo dove sono finiti i fondi dell’omonimo piano nazionale, finanziati dalla legge 107. Sono stati impegnati e spesi o che altro?
In sede di conciliazione li abbiamo elencati e rivendicati tutti, ci hanno offerto tavoli di confronto. Mi pare che la misura sia colma e di tavoli inconcludenti non sappiamo che farcene. Servono risposte serie, subito.
- Come se non bastasse, rispunta il progetto subdolo dell’autonomia differenziata che minaccia di far saltare i già precari equilibri. Rispunta in un collegato alla Legge di Bilancio e minaccia non di colmare i divari, ma di ampliarli in maniera irreparabile.
Una strada già aperta al finanziamento delle scuole private da parte dei comuni e delle regioni che, contro la Costituzione, viene fatta con i soldi dei contribuenti.
E’ per queste ragioni che la scuola si ferma oggi e chiede politiche di sviluppo e di riconoscimento del sistema democratico e partecipato della scuola costituzionale.