Il 10 dicembre sarà il giorno dello sciopero generale, indetto da Flc Cgil, Uil Scuola, Snals Confsal e Gilda. Le risorse in legge di bilancio, che per la scuola sono giudicate irrisorie, rappresentano la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Reclutamento, concorsi, vincoli di mobilità, sicurezza sono infatti i temi più caldi su cui da tempo le organizzazioni sindacali puntavano per un dialogo con il Governo. Dialogo che hanno deciso di interrompere da qualche settimana.
Uno dei protagonisti della protesta, Pino Turi, segretario generale della Uil Scuola, ha approfondito su Orizzonte Scuola le motivazioni che hanno spinto lui e gli altri colleghi a procedere in tal senso.
Il 10 dicembre la Uil Scuola sciopera, insieme ad altre tre sigle sindacali. I rapporti con il Ministero sono deteriorati oppure è un segnale forte che sperate ascoltino da Viale Trastevere e Palazzo Chigi?
Le due cose viaggiano insieme, se siamo arrivati a proclamare lo sciopero generale è perché i rapporti con l’intero Governo si sono deteriorati, senza farci prendere dalla sindrome del poliziotto buono e di quello cattivo. Siamo arrivati al redde rationem della Legge di Bilancio e sono caduti i veli di ipocrisia: non ci sono investimenti sul comparto che è il più povero nell’ambito del pubblico impiego. Persino le cose che non costano non si fanno ugualmente e si marginalizza la scuola nonostante i discorsi, le promesse, gli impegni sottoscritti e mai onorati. Il sindacato, in questa situazione, come può non mobilitarsi per chiedere il cambio delle politiche sulla scuola? Ascoltiamo le persone e diamo loro voce, per fare quadrato rispetto agli attacchi che la scuola subisce a causa di una politica neo liberista che la considera una spesa da tagliare piuttosto che un investimento strategico per il Paese.
Cosa manca a questa legge di bilancio, per quanto concerne la scuola?
Manca l’anima. Una strategia di rilancio dopo tanti anni di austerity e di tagli. Mancano le risorse di accompagnamento al PNRR per consentire la riduzione delle disuguaglianze, l’abbassamento dei livelli di dispersione scolastica, per attuare le varie transizioni, da quella ecologica, passando da quella digitale per arrivare a quella tecnologica. Pensare di fare investimenti infrastrutturali senza considerare le persone che devono dare sostanza agli investimenti, non solo è sbagliato, ma produrrà un grave danno e uno spreco di risorse a debito che, è bene ricordare, vanno restituite. Se poi si pensa di investire nelle infrastrutture per ‘regalarle’ al mercato e al privato, come si prospetta nella riforma degli ITS, allora diventa ancora più urgente mobilitarsi per difendere e tutelare la scuola costituzionale del Paese.
Il Ministro però va avanti, punta sulle riforme del PNRR.
Sono riforme che non modificano se non marginalmente la condizione dei lavoratori della scuola che sono già in una situazione di sfruttamento complessivo perché sottopagati e costretti a subire un intollerabile precariato che incide negativamente su tutto il sistema. I denari del PNRR non vanno nelle tasche dei lavoratori, prenderanno altre vie, senza dire che alcune riforme annunciate e non ben esplicitate potrebbero riservare brutte sorprese come quella già annunciata dell’insegnante di sostegno domiciliare. Misure che potrebbero marginalizzare ulteriormente la scuola derubricandola a servizio assistenziale piuttosto che funzione statuale di integrazione vera e di istruzione.
A fine anno è previsto un decreto dove inserire la riforma del reclutamento. Ma non era previsto un tavolo ad hoc con i sindacati?
Tra i tanti impegni inattuati c’è anche questo. Si continuano a bandire concorsi inutili e perfino dannosi che non danno al sistema alcuna continuità, mentre si lasciano centinaia di migliaia di precari in condizioni da terzo mondo. Serve una fase che non dobbiamo vergognarci di definire come una legittima sanatoria intesa come la giusta stabilizzazione che metta fine ad una assurda guerra tra ‘poveri’ di cui la politica si deve fare carico.
Torniamo alla legge di bilancio. Con questa manovra, al momento, l’incremento stipendiale sarà di ulteriori di 12 euro, a cui si aggiungono i famosi 87. Per le tre cifre bisogna aspettare il prossimo rinnovo contrattuale, allora?
Si tratta di 12 euro aggiuntivi ai 87,5 euro, derivanti da risorse già accantonate negli anni scorsi. Risorse che abbiamo giudicato insufficienti. La scuola rifiuta la politica dei bonus e dei premi alla “dedizione” e rivendica retribuzioni per valorizzare la professionalità di tutti i lavoratori della scuola. Abbiamo, con il contratto in essere, appena eliminato il “bonus” Renzi e ci ritroviamo il bonus Bianchi? Cambiano gli attori ma la politica resta la stessa anche a dispetto del Coronavirus che, tutti, ci auguravamo avrebbe dovuto insegnare qualcosa. Gli avvenimenti di questi ultimi mesi dicono esattamente il contrario. Per questo la scuola sta dicendo basta. Per questo si ribella.
Come immagina la scuola dopo l’emergenza covid?
Il Coronavirus ci ha insegnato che solo lo Stato è in grado di fare fronte alle emergenze, da quella sanitaria a quella educativa. Il mercato e il privato allargano le disuguaglianze, non superano le emergenze e non danno risposte ai cittadini. Nessuno era pronto a reggere una sfida forte quanto inaspettata qual è quella dell’infezione, tuttavia, solo la scuola ha dato in assoluta autonomia una risposta, altri non hanno avuto la stessa capacità di tenuta.Un segnale obiettivo e certo è che la scuola italiana non è come la descrivono, ma è una realtà flessibile, reattiva che va rifinanziata e a cui va data fiducia. Noi siamo stati coerenti: ci siamo opposti alla chiusura degli ospedali e delle scuole. Siamo stati sempre contrari alle politiche neo liberiste che la pandemia ha bocciato, senza appello. Non riusciamo a capire perché solo la nostra classe politica resti immobile, aggrappata alle sue ideologie basate sulle solite ricette. Lo sciopero serve a fare cambiare la politica governativa, solo così possiamo rilanciare la scuola del dopo covid. Una scuola che ritrova le ragioni della cultura, delle conoscenze e della scienza. Una scuola nazionale, statale, laica, democratica e partecipata. Mantenere e valorizzare questo tipo di scuola ora richiede uno sforzo straordinario. Per questo gli insegnanti, faranno sentire le loro ragioni scioperando il 10 dicembre.