La scuola, le regioni e il sindacato
Nel serrato confronto del fine settimana – dalla Conferenza delle Regioni, al confronto con i ministri Boccia, De Micheli, Azzolina, Manfredi e Speranza, fino al vertice di Palazzo Chigi – per arrivare al Dpcm di ieri, il ruolo del sindacato è stato sottolineato in primo luogo dalle Regioni che hanno chiesto, preliminarmente un accordo nazionale con le organizzazioni sindacali.
Una presa d’atto che conferma l’esigenza di un confronto operativo da parte di chi governa sul territorio. Non lo stesso può dirsi del Governo, o almeno parte di esso che ha marginalizzato accordi già conclusi, sia nel livello confederale che, per la scuola, con il MI.
Una differenza di visione e di cultura politica rese ancora più evidenti con il perdurare dell’emergenza che si credeva superata, ancora drammaticamente presente.
Un’emergenza che qualcuno pensava di aver messo alle spalle che invece è ancora drammaticamente presente.
Tutti si assolvono: il ministro dell’Istruzione, quello della Sanità, quello dei Trasporti.
Tutti hanno fatto “ciò-che-si-doveva” ma la realtà si ribella. Se il malato non guarisce, o la diagnosi è sbagliata o sono sbagliate le cure.
La politica – ormai abituata al facile consenso provocato dai vari storytelling e sedimentato dai social – ha perso di vista la realtà. Quella realtà dalla quale i dirigenti territoriali non possono fuggire. Allora bisogna fare, non apparire. E cruciale diventa il nodo delle risorse.
Gli amministratori locali, come è giusto che sia, portano risorse verso i loro bilanci e lasciano alla scuola anche il lavoro che non gli compete, come quello della vigilanza sanitaria.
Condivisione e contrattazione
Ora tutti si accorgono che solo con le persone, con i lavoratori, si possono superare le crisi e non contro di loro.
Lavoro e persone: le basi di ogni sviluppo del Paese, di ogni svolta sociale, di ogni azione e rivendicazione sindacale di tutela.
Allora ricordiamo che la scuola è comunità educante e in questo momento cruciale regge sulla responsabilità professionale di chi ci lavora.
Serve il loro coinvolgimento. Non sono un filtro operativo delle decisioni di altri. Il lavoro fatto a scuola “è scuola”.
Servono strumenti di condivisione e contrattazione per definire il quadro di regole in cui le singole scuole autonome si devono muovere.
Ora regna la deregolamentazione e il caos.
Serve il rinnovo del contratto per adeguare le retribuzioni, diventate veramente inadeguate rispetto a quanto si chiede. Va operato uno scambio tra maggiore flessibilità (come se quella attuale fosse poca) e garanzia delle lezioni in presenza e sicurezza per il personale.
Non riusciamo però a capire se la richiesta di un accordo è rivolta al sindacato – che in ogni occasione non si è mai sottratto alle proprie responsabilità – o al governo che di fatto e di diritto snobba qualunque confronto di merito, sia generale che particolare.
In questi mesi non abbiamo mai fatto mancare la disponibilità al dialogo.
Il nostro senso di responsabilità ci ha impedito di tacere, ha prodotto critiche mirate, talvolta aspre verso una politica sorda, prevenute e orientata al suo interno.
Nel merito abbiamo firmato l’accordo per la costituzione di tavoli per monitorare e valutare l’esito della pandemia rispetto alle ricadute sulla scuola. In quell’accordo ci sono impegni non mantenuti che ora sembrano urgenti più di prima: classi con meno alunni; regolamentazione contrattuale della DaD; garanzie per i lavoratori fragili.
Abbiamo passato settimane e settimane a ripetere che servivano presidi sanitari nelle scuole e che andava in ogni modo evitata la soluzione della delega di funzioni improprie ai docenti, dirigenti scolastici ed ATA.
Scuola e lavoro: la difficile convivenza con il virus
La strada degli accordi è stata più che in salita, un muro. Al confronto con il sindacato si è preferito lo scontro, caratteristica propria di chi non ha cultura di governo, ma solo di opposizione. L’epilogo di questo modo si procedere è stato dipingere il sindacato come sabotatore del lavoro ministeriale.
L’esperienza concreta sta mostrando, come in passato, che opporsi al sindacato democratico, partecipato, di massa, equivale ad opporsi alla realtà. I risultati si vedono.
Il ministro avrebbe preferito un sindacato acquiescente e acritico. Si è sbagliato, di grosso.
La UIL Scuola ha sempre anteposto l’idea di scuole aperte in presenza e in sicurezza. Seguendo questa bussola ha fatto proposte coerenti, raccomandazioni rivolte a realizzare tale obiettivo. Abbiamo anche detto: concentriamo su questo obiettivo qualunque sforzo.
Invece si è sottovalutato il momento. Si è governato il sistema scolastico, come se non ci fosse l’emergenza. Da ultimo il concorso riservato che sta assorbendo energie e con le inevitabili conseguenze di carattere legale, rappresenterà un ulteriore problema sulla strada per combattere la pandemia che è ancora il problema più urgente da risolvere.
Quando un paese è sotto le bombe, non costruisce fabbriche. Allo stesso modo si pensa all’innovazione quando è stabilizzato il sistema.
Ora è inutile rivangare il passato, abbiamo unitariamente chiesto la convocazione formale del Tavolo nazionale. Siamo sempre più convinti che le regole condivise siano quel valore aggiunto che manca oggi per battere la pandemia. Siamo stati leali e propositivi a marzo lo saremo ancora se ne avremo la possibilità. Scuola e lavoro, le priorità: riguardano lavoratori e rappresentanze. Speriamo che qualcuno se ne renda conto prima che si infiammi lo scontro sociale che comincia a covare sotto la cenere.