Mentre si parla di rientro a settembre, nessun provvedimento per garantire posti di lavoro e continuità didattica.
Servono interventi per la scuola. Un impegno del Governo, come quello che si sta giustamente rivolgendo ad altre categorie di lavoratori e alle imprese private. Non si reggerà l’urto a settembre con oltre centomila precari licenziati in estate e riassunti in autunno – è questo uno dei temi che saranno affrontati dal segretario generale della Uil Scuola, Pino Turi, nel corso della diretta FB di oggi pomeriggio alle 16.00.
Ci sono tempi stretti per decidere – continua Turi – quella dei supplenti della scuola è una situazione che va sanata ora. Abbiamo il più alto livello di precari mai avuto negli ultimi dieci anni, posti liberi, e la pandemia.
Il Parlamento è chiamato ad una scelta nei prossimi giorni, una scelta di responsabilità verso i suoi dipendenti, i dipendenti dello Stato.
Può farlo per senso di giustizia e per il rilancio del paese – osserva Turi – ma non è pensabile continuare con i licenziamenti massa nella scuola per lasciare in condizione di precarietà intere generazioni che devono invece rappresentare il supporto per aumentare la domanda aggregata.
La pandemia è l’occasione per farlo, con quali soldi ci diranno – si domanda Turi.
Con quelli che dobbiamo ricevere dall’Europa sotto forma di prestiti agevolati. Il Mes, per la parte delle risorse della sanità diretta ed indiretta come nel caso della scuola, può essere una risposta da cogliere per riavviare il sistema scolastico.
La scuola in questo momento ha bisogno di investimenti, libertà, unità.
Gli investimenti devono riguardare le persone e non la tecnologia soltanto.
Vanno stabilizzati almeno 40 mila insegnanti e i direttori amministrativi facenti funzione. I posti ci sono vanno coperti tutti.
Serve una visione che prefiguri una nuova civiltà. Quella stessa visione che nel dopoguerra ci ha visto uniti e che, attraverso la scuola, ha attivato un meccanismo virtuoso di viluppo e di riduzione delle disuguaglianze. Manca però il collante di allora, la solidarietà e la visione del paese che si vuole.
Si esce dalla crisi solo se si fanno politiche keynesiane che sono spinte sulla domanda e non sull’offerta come si pensa di fare ancora anche in piena crisi che da sanitaria diventerà economica, prima sociale dopo.
Se il governo non pensa al futuro, forse le famiglie devono incominciare a farsi sentire, nell’interesse dei loro figli, perché diversamente dalle famiglie del dopoguerra, che sulla scuola avevano puntato per un senso di riscatto sociale, ora si rischia di capire troppo tardi il guaio di una scuola senza risorse e senza insegnanti.