Il Comitato sindacale europeo per l’istruzione (CSEE): “Allarme privatizzazione. Invertite la rotta, investite nell’istruzione”.
Profitti e diritti non dovrebbero mai essere confusi e messi sullo stesso piano.
Mentre all’estero hanno già sperimentato gli effetti negativi del neo liberismo e della standardizzazione, in Italia – commenta il segretario generale della Uil Scuola – siamo ancora in tempo per cambiare strada, dando seguito all’allarme lanciato dal Sindacato europeo, aumentando gli investimenti pubblici in istruzione e evitando la dipendenza del bene istruzione dalle influenze dei mercati.
Il dato di indirizzo giunge dal documento adottato dal Comitato esecutivo del CSEE, ieri a Bruxelles – in vista della riunione del Consiglio europeo di venerdì prossimo, 8 novembre, dove saranno presenti i ministri dell’Istruzione dei paesi europei – nel quale si sottolinea il rischio concreto che «la dipendenza dai mercati per fornire beni pubblici come l’istruzione non è né efficiente né efficace» e si ricorda «la responsabilità primaria dei governi di aumentare gli investimenti nell’istruzione pubblica e di progettare i budget dell’istruzione pubblica in modo da fornire risorse sufficienti, certe e sostenibili».
Proprio mentre in Europa c’è un ripensamento complessivo sulle politiche finanziarie e sull’offerta pubblica dei sistemi di istruzione – sottolinea Turi – in Italia stiamo indietro e pensiamo che il modello da seguire sia ancora quello ancorato alle logiche di mercato. Inseguiamo, insomma, un modello che ha già fallito.
«La mercantilizzazione, la privatizzazione e la commercializzazione dell’istruzione possono apparire in più forme – si legge nelle raccomandazioni politiche contenute nel documento – incluso l’appalto di servizi educativi e il trasferimento dei costi agli studenti, che sono sempre più trattati come consumatori piuttosto che come discenti; l’adozione di pratiche di gestione “di tipo aziendale” nella direzione dell’istituzione scolastica e la possibilità imprenditoriale di generare fondi a livello di singoli istituti. La gestione da quasi-mercato che legano le prestazioni a premi e sanzioni, misurazioni standardizzate e meccaniche e la crescente dipendenza da imperativi commerciali ed economici può venire a scapito di un’istruzione e programmi scolastici completi e inclusivi».
L’idea che possa esserci un nuovo umanesimo – continua Turi – ci piace e ci appassiona. Puntare sulla scuola come diritto universale, come funzione dello Stato, e non come servizio a domanda, è il modello giusto da rafforzare e radicare che fa venire meno ogni ipotesi di autonomia differenziata da assegnare alle regioni e i vari tentativi a supporto del finanziamento pubblico delle scuole private.
E’ bene ricordare, anche in vista dell’appuntamento europeo – suggerisce Turi – che il ripensamento del modello europeo è un segnale da cogliere appieno.
Quello italiano, laico, libero, universale, equo, è un modello da seguire, non da abbandonare.