Nella lettera, indirizzata anche ai presidenti di Camera e Senato, Fico e Casellati, gli esperti si dicono “preoccupati” per le intese sul regionalismo differenziato. E ricordano che si deve passare attraverso leggi dello Stato, non bastano mere intese tra il Governo e le singole Regioni
ROMA – Costituzionalisti in allarme sull’autonomia regionale, uno dei temi di contrasto all’interno del governo gialloverde. In un appello al Capo dello Stato e ai presidenti di Camera e Senato, trenta costituzionalisti si dicono “fortemente preoccupati per le modalità di attuazione finora seguite nelle intese sul regionalismo differenziato e per il rischio di marginalizzazione del ruolo del Parlamento, luogo di tutela degli interessi nazionali”. E chiedono che sia garantito “il ruolo del Parlamento, anche rispetto alle esigenze sottese a uno sviluppo equilibrato e solidale del regionalismo italiano, a garanzia dell’unità del Paese”.
Il documento, predisposto dal professor Andrea Patroni Griffi, docente dell’Università della Campania ‘Luigi Vanvitelli’, è stato sottoscritto anche da tre presidenti emeriti della Corte costituzionale (Francesco Amirante, Francesco Paolo Casavola e Giuseppe Tesauro). I costituzionalisti esprimono preoccupazione rispetto al fatto che i piani per garantire la cosiddetta “autonomia differenziata” alle Regioni del Nord possano, di fatto, mettere in un angolo il ruolo principe delle due Camere. Secondo gli esperti, le ulteriori forme di autonomia concesse “non possono riguardare la mera volontà espressa in un accordo tra Governo e Regione interessata”, poiché hanno rilevanti conseguenze “sul piano della forma di Stato e dell’assetto complessivo del regionalismo italiano”.
I costituzionalisti sono convinti che i parlamentari, “come rappresentanti della Nazione, devono essere infatti chiamati a intervenire, qualora lo riterranno, anche con emendamenti sostanziali che possano incidere sulle intese, in modo da ritrovare un nuovo accordo, prima della definitiva votazione”. Ricordano che proprio per questo anche nel 1972 nell’approvazione dei primi Statuti del 1972 “il Parlamento svolse un ruolo incisivo. La fisionomia delle regioni, infatti, riflette quella dell’intero Paese e non riguarda solo i singoli governi regionali”.
È per questo, spiegano, che l’approvazione parlamentare non può essere un mero passaggio formale. Non a caso l’articolo 116, terzo comma della Costituzione (introdotto con la riforma del 2001) stabilisce che a concedere le autonomie debba essere “una legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119”. E che questa legge, per avere validità, debba essere “approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”.
Questa disposizione, concludono i 30, “va letta coerentemente con i principi di unità e indivisibilità della Repubblica e con la funzione del Parlamento di tutelare gli interessi di tutti i cittadini e di tutte le Regioni”. A garanzia che la nuova autonomia negoziata “si inserisca armonicamente nell’ordinamento complessivo della Repubblica. Il ruolo del Parlamento è tutelare le istanze unitarie a fronte di richieste autonomistiche avanzate dalle Regioni” che potrebbero danneggiare l’unità nazionale.