Il gap tra il sentire comune della categoria e le minoranze rumorose, attente più alle motivazioni politiche che sindacali, merita qualche considerazione.*
Siamo alla vigilia di un voto politico che sta mobilitando in maniera trasversale la società italiana; populismo, tanta rabbia e tanto rancore, indotti da un malessere profondo dovuto alla crisi finanziaria degli anni scorsi il cui risanamento è ricaduto, sostanzialmente, sulle spalle del ceto medio: il personale della scuola, più in generale, il pubblico impiego, che ne rappresentano un pezzo importante, non ne potevano restare certo esenti.
Una eco che si è scaricata anche sul fronte della protesta sindacale della scuola, con gli stessi toni populistici, in verità poco sindacali e molto politici. Si è assistito ad una sommatoria di dissensi, che hanno poco di rivendicazione e più di sfogo di una rabbia repressa contro tutto e tutti: sindacati, forze politiche, associazioni. Appassionatamente contro, contro altri sindacati, contro il contratto firmato il 9 febbraio, che interrompe un vuoto di ben dieci anni.
Tutti, leader sindacali e politici di opposizione, all’unisono, hanno tuonato contro un contratto che hanno definito indegno e mortificante, con il solito contorno di offese ai firmatari dello stesso, si è arrivati allo sciopero del 23, proclamato da alcune sigle minori che, per la verità almeno ci hanno messo la faccia, al contrario di altre sigle che potevano (ma legittimamente) non hanno firmato il contratto, lasciando solo alle dichiarazioni il loro dissenso.
Bisogna anche segnalare la protesta di un’associazione professionale dei DSGA che anche a nome di tutto il personale ATA, ha manifestato davanti al Miur chiedendo la riapertura del contratto, annunciando proprie rivendicazioni; come dire ognuno, esprime dissenso rispetto a ciò che si attendevano e non hanno ottenuto.
In verità tanto frastuono, ma senza grande adesione, se non quella virtuale ampliata dal web, se si considera che, nelle assemblee, registriamo ben altri atteggiamenti e l’adesione allo sciopero proclamato contro il contratto è stata inferiore, in termini di adesione (2,6%) , a quello analogo di qualche tempo fa.
Un gap tra il sentire comune della categoria e le minoranze rumorose – attente più alle motivazioni politiche che sindacali – che merita qualche considerazione.
Nelle motivazioni dello sciopero vediamo tutto e di più: la questione economica insufficiente, che assorbe tutte le questioni che in dieci anni di blocco delle relazioni sindacali e dei contratti si sono accentuate; i tagli, le assunzioni necessarie al buon finanziamento delle scuole, la limitazione alle supplenze, la stabilizzazione dei precari, la definizione della questione dei docenti magistrali ancora in bilico tra licenziamento e stabilizzazione, il riconoscimento pieno della ricostruzione di carriera, la temporizzazione dei DSGA, la questione dei transitati dagli Enti Locali, i concorsi per Ds e per DSGA.
E questo è un elenco parziale a cui ognuno può aggiungere qualcosa che ritiene vada sistemato e risolto.
Si tratta di un’insofferenza e una reazione comprensibile, rispetto a decenni di politiche punitive e regressive che avevano come obiettivo principale di eliminare l’ intermediazione sindacale e condurre alla scomparsa del contratto di lavoro. Una sommatoria di ragioni, con effetti indotti e ampliati dalle prossime elezioni.
In pratica scioperi politici che poco hanno a che fare con l’azione sindacale. Per rendersene conto, basta vedere le varie sigle e soggetti aderenti e le rivendicazioni che sono state alla base dello sciopero di venerdì scorso.
Il bello è che sono definiti sindacati autonomi, in contrapposizione a quelli Confederali, che hanno firmato il contratto e lo hanno fatto sulla base degli interessi esclusivi della categoria, con equilibrio e con la consapevolezza che il contratto non poteva e non può risolvere i problemi generali che si sono accumulati negli anni. Temi che, peraltro, nella campagna elettorale nei programmi delle forze politiche sono trascurati.
La riprova di ciò che affermiamo è nelle dichiarazioni e nelle affermazioni dei vari oppositori. Prendiamo quello dell’Anquap. Dal loro sito si desumono le ragioni del dissenso, molto meno le proposte, se non per chiedere assunzioni, eliminazione delle esternalizzazioni, bandi di concorso per DSGA e raddoppio dell’indennità in caso di reggenza su scuola sottodimensionata.
A ben vedere, eccetto che per l’indennità per i pochi DSGA interessati alla copertura di posti sottodimensionati, il contratto – che con i soldi disponibili che avrebbe significato la riduzione dagli 85 euro medi pro-capite (di tutti) per farli confluire in una ‘dignitosa’ indennità (per pochi), è concepito in modo completamente diverso da quello firmato nel quale,ci si è invece preoccupati di distribuire le risorse disponibili in maniera equa e solidale tra tutte le figure professionali dei docenti, degli educatori e degli ATA, con un sistema perequativo che ha visto l’attenzione ai redditi più bassi.
Bene tanto frastuono, lampi e tuoni vs il contratto, e non è venuto a piovere. Almeno sul testo firmato. Dopo il 4 marzo, forse, anche qualche acceso oppositore ne accorgerà. Non sarà per questo che si chiede ora di riaprirlo?
*Di Pino Turi