UIL: la recessione non c’entra. Il calo di investimenti nella scuola dipende da decisioni sulle priorità. Per competere con i paesi più sviluppati occorre alzare il livello di istruzione non appiattirlo.
L’Italia non investe in istruzione, per scelta e non per contrazione della spesa – mette in evidenza il segretario generale della Uil scuola, Pino Turi – i bassi livelli di spesa sono « indice di un cambiamento nelle priorità pubbliche piuttosto che di una contrazione generale di tutte le spese governative» si legge nel rapporto presentato oggi dall’Ocse.
Nell’ambito della spesa pubblica, la quota che l’Italia destina all’istruzione è pari al 7,1%, in calo rispetto al 9%, del 2010.
Un divario di due punti percentuali – fa notare Turi – che mostra i limiti finanziari del nostro sistema e che andrebbe colmato anche con un piano graduale di investimenti, per un riequilibrio con gli altri settori di spesa.
Che occorra riportare la scuola tra le priorità dell’azione di Governo – continua Turi – lo dimostra anche la spesa in istruzione in rapporto al Pil, pari al 4,1%, ben al di sotto della media Ocse (5,2%) e «in calo, secondo il rapporto Ocse, del 7% rispetto al 2010».
Più risorse per la scuola – aggiunge il segretario della Uil Scuola – per evitare che, un sistema che ancora tiene in termini di risultati e di qualità (ad esempio il sistema della scuola dell’infanzia, con tassi di frequenza altissimi, 97%, fa notare Turi) in presenza di un consistente divari, in termini di investimenti, possa determinare squilibri nel sistema-Paese, difficilmente recuperabili.
Sono considerazioni che dovrebbero indurre il Governo a chiudere rapidamente il negoziato per il rinnovo contrattuale del personale della scuola, in modo da poter impegnare le risorse necessarie nella prossima legge di Bilancio.
Ai dati macroeconomici in flessione si affianca la stagnazione dei livelli delle retribuzioni (in allegato la tabella con i dati Ocse rielaborata in euro) che restano più bassi anche nel confronto con altri lavoratori con lo stesso livello di istruzione.
In prospettiva – commenta Turi – il divario esistente nella componente femminile, farà aumentare ancora di più il divario di genere tra i docenti del sistema scolastico italiano che, invece va riequilibrato.
E’ un fenomeno, quello della femminilizzazione della scuola, che si può contrastare solo con politiche d’investimento che rendano più attrattiva la professione docente, la più bella del mondo, sia in termini di status che di reddito.
Una fotografia che rende merito al sistema dell’istruzione italiana che ha mostrato una sua tenuta interna e doti di recupero di tutto rispetto a dispetto di tutti coloro che ogni giorno la denigrano.
Il vero problema italiano è il lavoro e il numero insufficiente di laureati (siamo penultimi, dopo di noi solo il Messico). Ma non è la scuola ad essere inadeguata – sottolinea Turi – anche il rapporto OCSE assolve e promuove il sistema italiano, compreso il segmento dell’istruzione professionale che appare in linea con gli altri paesi. Sono le misure di politica economica e scelte durature nel tempo di investimenti pubblici che possono determinare la svolta.
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“Uno sguardo sull’istruzione: gli indicatori dell’Ocse” raccoglie informazioni sullo stato dell’istruzione nel mondo e presenta dati sulla struttura, il funzionamento e il finanziamento dei sistemi di istruzione nei 35 paesi dell’Ocse. Per quanto l’Italia, nell’edizione 2017, il rapporto conferma che:
- il livello di spesa della spesa per l’istruzione è di oltre un punto percentuale sotto la media UE ( 4% rispetto al 5,2%)
- nonostante tutto, il sistema scolastico italiano consegue i suoi fini.
- i laureati in Italia sono nettamente meno delle media europea.
- le scienze umanistiche sono gli studi preferiti specie dalle donne, quelli tecnico scientifici sono solo di poco sotto la media europea.
- la scuola dell’infanzia è pressoché generalizzata con tassi altissimi di frequenza pari al 97%.
- il rapporto alunni docenti è nella media europea e se consideriamo i docenti di sostegno molto oltre la media, mentre le retribuzioni, è confermato, sono più povere rispetto alla media dei paesi Ocse.