In cinque anni (2008-20013) il Pil italiano ha perso 8 punti percentuali. Per la scuola il calo è stato quasi del doppio (-14%) Uil: l’inversione di tendenza con l’ultima riforma del Governo c’è ma i risultati non sono quelli attesi.
È stato pubblicato oggi il rapporto annuale dell’OCSE sullo stato dell’istruzione nei Paesi affiliati all’organizzazione.
Il dato impressionante, accanto al calo complessivo della spesa che il nostro paese destina all’istruzione (-14%) è il basso livello delle retribuzioni del personale della scuola che ha perso il 7% in termini di potere d’acquisto nel periodo considerato (2008 – 2013).
Il rapporto inquadra un sistema di istruzione che è il risultato di scelte politiche svincolate dalla realtà a cui bisogna porre subito rimedio attraverso un recupero di risorse e investimenti da destinare alla scuola.
Resta ancora molto da fare per garantire il diritto allo studio, realizzato meglio nella scuola dell’infanzia e nell’inclusione delle fasce più deboli.
Paradosso del Rapporto è che, mentre le relazioni tra ministero e sindacati scuola sono ridotte al lumicino, l’Ocse indica, analizzando le ricadute sul mercato del lavoro, proprio la contrattazione collettiva come uno dei fattori di successo.
Occorre intervenire subito – spiega Pino Turi, segretario generale della Uil Scuola – sui contratti del personale della scuola e sul sistema pensionistico in modo da favorire il ricambio generazionale.
IL RAPPORTO IN SINTESI
La novità è nel confronto istituito tra dati raccolti dall’OCSE, tramite le indagini PISA, TALIS, PIAAC e le banche dati INES, e i parametri previsti dall’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile n.4 definito dall’ONU in vista del 2030.
Anche l’obiettivo dell’ONU presenta delle novità rispetto al passato: infatti, non ci si limita più ad auspicare l’accesso all’istruzione per tutti, si attesta chiaramente la necessità di garantire a tutti un’istruzione di qualità. In quest’ottica vanno letti dati forniti dal rapporto.
L’Italia ne esce con le ossa rotte:
• La spesa pubblica è diminuita del 14% dal 2008 al 2013 (mentre il PIL è diminuito solo dell’8%) e prima di questo periodo era già tra le più basse dell’area OCSE; finalmente viene detto con chiarezza che gli investimenti insufficienti nel settore dell’istruzione non sono dovuti tout court ad una riduzione della spesa pubblica, bensì ad un’inveterata abitudine a spendere poco in questo settore. Inoltre, tra il 2008 ed il 2013, la quota di spesa che ricade soprattutto sulle famiglie è aumentata del 21%. Le tasse universitarie rimangono tra le più alte rispetto a quello che accade negli altri Paesi. Il rapporto dell’OCSE ribadisce che un’istruzione di qualità richiede finanziamenti adeguati .
• Il corpo docente è quello più vecchio dell’area e conta il numero minore di uomini, i salari dei docenti sono diminuiti in termini reali del 7% ed equivalgono al 76 – 93% dei salari medi dell’OCSE. Finalmente si prende atto che la corsa ad un posto da insegnante in Italia è legata spesso alla mancanza di altro lavoro sicuro. Al livello di dirigenza si registra tuttora una discriminazione di genere e l’età media è tra le più alte dell’area OCSE.
• La proporzione di NEET è aumentata del 10%, molto di più che in ogni altro Paese delll’OCSE. La disuguaglianza in termini di successo scolastico è ancora troppo alta e non è limitata solo agli studenti di origine straniera. In Italia più che in altri Paesi il livello di istruzione familiare conta per garantire il successo negli studi. Troppi adulti hanno basse competenze in materia di comprensione del testo, matematica e nuove tecnologie e manca un’offerta adeguata per aiutarli a migliorare le proprie competenze
• L’offerta di istruzione universitaria (corsi triennali) e di corsi post-secondari è trascurabile. L’università non viene percepita come un mezzo per avere successo nel mondo del lavoro e non si adatta alle esigenze di chi già lavora ma vorrebbe laurearsi.
• L’istruzione tecnico-professionale riscuote molto più successo che in altri Paesi. La formazione professionale, però, non altrettanto performante, soprattutto per quanto riguarda la fascia di età 25-64.
• Esiste sempre un problema di genere. Le donne sono sempre minoritarie nei percorsi matematico scientifici, anche se sono le più numerose tra gli iscritti all’università.
• Rispetto ai parametri individuati dall’ONU per garantire a tutti l’accesso ad un’istruzione di qualità entro il 2030, L’Italia ne ha raggiunti solo due e riguardano la scuola dell’infanzia e l’inclusione di soggetti appartenenti a categorie più deboli. Gli altri 8 sono ancora lontani